Prefazione alla nuova edizione

Prefazione a
Come divenni brigante 2.0 – Carmine Crocco

Perché rimettere mano all’edizione di un titolo a distanza di quasi dieci anni dalla prima versione? La risposta risiede nei nostri lettori, che saranno pure venticinque ma dimostrano di essere attenti e preparati.

Riceviamo, qualche tempo fa, una mail. Chi scriveva aveva da poco acquistato l’autobiografia di Carmine Crocco e ci poneva una serie di domande: su quale testo avevamo basato la nostra edizione? Sul manoscritto originale del brigante? Oppure su una ristampa successiva? Oltretutto, il lettore aveva trovato notizia, in rete, di almeno un altro manoscritto di Crocco. Ne concludeva: “non sarebbe bene – visti anche i sospetti sull’autenticità – aggiungere una nota alla fine dell’introduzione per dichiarare le fonti della vostra pubblicazione?”

Il lettore aveva ragione. Le memorie di Carmine Crocco, uno dei primi titoli a entrare nel nostro catalogo, avevano subìto la stessa sorte della maggior parte delle ristampe di epoca contemporanea, quella cioè di rifarsi alla stessa edizione senza andare a ricercare la fonte primaria. Ci è sembrato pertanto corretto produrre una nuova versione, più rispettosa del testo originario (o quanto meno di ciò che ci è stato tramandato) e soprattutto proporre nello stesso volume il secondo manoscritto del brigante arrivato a noi. Esaminare entrambi i documenti è di estremo interesse, per i motivi che esporremo.

Quasi tutte le edizioni contemporanee ripropongono il testo estratto da un volume pubblicato nel 1903 dal capitano Eugenio Massa, con il titolo Gli ultimi briganti della Basilicata – Carmine Donatelli Crocco e Giuseppe Caruso. Il libro era diviso in due parti, la prima contenente l’autobiografia di Carmine Crocco e la seconda uno scritto di Giuseppe Caruso, suo compare e successivamente delatore. Massa aveva intrapreso sin dagli anni ’80 del XIX secolo uno scrupoloso lavoro di ricerca sul brigantaggio, non soltanto incontrandone in più occasioni alcuni protagonisti, ma anche conducendo una ricerca sul campo per verificare l’esattezza dei loro racconti. Così aveva potuto intervistare più volte Carmine Crocco (l’ultima, pare, nel 1889) e si era recato nei luoghi degli avvenimenti per investigare sui fatti. Non solo: l’ex brigante, che scontava la pena dell’ergastolo nel carcere di Santo Stefano, aveva fatto in modo di fargli avere un suo manoscritto autobiografico.

La trascrizione delle memorie di Crocco costituirono dunque il nucleo centrale del volume di Massa, precedute da una prefazione del capitano e seguite da alcune sue note al testo. Tuttavia, le ristampe successive hanno per lo più omesso (del tutto o in parte) questi passi. Ed è un peccato, perché da un lato consentono di comprendere meglio il punto di vista del curatore, non certo benevolo nei confronti di Crocco, dall’altro contengono in nota delle interessanti osservazioni a proposito della veridicità o meno di taluni suoi racconti. Massa, sulla base delle ricerche sul campo di cui prima, aveva potuto constatare la natura artefatta di alcuni ricordi d’infanzia del brigante, che non trovavano riscontro alcuno nella documentazione né nella memoria dei compaesani.

Il vero punto di dibattito è, però, l’autenticità delle memorie nel loro complesso. Già nella prefazione alla prima edizione avevamo toccato l’argomento, ricordando quanti si erano schierati a favore dell’idea che si trattasse di un falso (Benedetto Croce) e chi lo riteneva autentico, benché spesso insincero (Basilide Del Zio). Ciò che suggerivamo in quell’occasione era che il testo fosse autentico ma comunque fortemente rimaneggiato, sottoposto cioè a una pesante operazione di quello che al giorno d’oggi chiameremmo “editing”. Questo per ragioni di contenuto (alcune citazioni colte un po’ sospette, certe affermazioni forzate a favore o contro determinati personaggi storici) e di forma (l’italiano troppo levigato e toscanizzante).

A tal proposito c’è da registrare anche un piccolo giallo. Eugenio Massa, infatti, nella prefazione afferma:

Questa autobiografia […] io, anziché sfrondarla o riassumerla, preferisco di pubblicarla nella sua integrità sostanziale e formale (rispetto perfino la grafia scorretta dell’autore) […]

Dal che si capisce che il curatore abbia ricevuto un manoscritto e lo abbia pubblicato così com’era. Carmine Crocco, però, nel capitolo conclusivo, scrive (il corsivo è nostro):

La prego perciò illustrissimo signor …. di non mettere da parte questo mio scartafascio; esso, ben corretto, da colui che ha il dono della scienza e delle lettere, diverrà se non dilettevole, di certo interessante e meritevole di essere letto.

Esiste una palese contraddizione, oltre a una serie di interrogativi: chi è il signore a cui Crocco affida il manoscritto? Se fosse Massa, non si capiscono le ragioni di ometterne il nome. E chi è, ancora, “colui che ha il dono della scienza e delle lettere” cui Crocco attribuisce il merito di avere corretto il suo scartafaccio?

Al di là del contenuto, è soprattutto l’aspetto linguistico a destare qualche sospetto e indirizzarci verso la tesi dell’editing. E qui ci viene in aiuto il cosiddetto “secondo manoscritto”, meno conosciuto e qui riproposto.

Il testo era contenuto in un saggio socio-antropologico di Francesco Cascella, intitolato Il brigantaggio: ricerche sociologiche ed antropologiche. Grande era, in quegli anni, l’attenzione rivolta dalla neonata antropologia criminale nei confronti del tema del brigantaggio meridionale; Cascella, discepolo di Cesare Lombroso, fondatore della disciplina, dedicò all’argomento un ampio volume, che poté beneficiare della prefazione del suo maestro. In appendice era riportata la trascrizione di un manoscritto di Crocco diverso da quello già stampato da Eugenio Massa:

Questo manoscritto, autenticato col timbro della Di­rezione del Bagno penale di Santo Stefano e con la fir­ma del Direttore, lo dobbiamo alla cortesia di un valo­roso collega, il Dottor Saverio Cannarsa, da Termoli, il quale gentilmente ce lo ha favorito.

Purtroppo, anche in questo caso non vi è notizia che sia sopravvissuto l’autografo, e dispiace tanto più in virtù del fatto che Cascella, per ragioni di brevità, ne riporta soltanto un estratto delle cento pagine originarie. Questo rende difficile farsi un’idea precisa di quale fosse lo scopo dello scritto: una seconda autobiografia? Una raccolta di ricordi sparsi? Le parti superstiti sembrano portare alla seconda conclusione, in quanto si tratta di alcuni aneddoti relativi a varie epoche e non necessariamente legati tra di loro; non abbiamo comunque elementi per giudicare a pieno, né conosciamo i motivi che abbiano spinto il curatore a privilegiare alcune parti rispetto ad altre.

Ciò che colpisce maggiormente, però, anche a una lettura superficiale, è l’abisso che separa questo documento dal precedente. Diversa è la disposizione dei temi trattati, che nel testo raccolto da Massa è abbastanza ordinata, mentre qui appare confusa e ricca di digressioni. Ma soprattutto diversissima è la lingua: il Crocco di Massa scrive in un italiano toscaneggiante e tutto sommato corretto, condito da citazioni colte e aforismi più o meno ragionati; il Crocco di Cascella, invece, scrive in un italiano sgrammaticato, quasi una trascrizione letterale delle inflessioni del dialetto parlato, con una punteggiatura incoerente e una sintassi ingarbugliata al punto da rendere difficoltosa, a tratti, la comprensione. È una lingua più vicina a ciò che sappiamo del personaggio Crocco, figlio del popolo che aveva avuto il privilegio di ricevere una rudimentale istruzione in famiglia, senza per questo poter essere definito a pieno alfabeta. E, inoltre, questa lingua è coerente con altre testimonianze scritte di Crocco, quali ad esempio i “pizzini” riportati, tra gli altri, da Basilide Del Zio:

Francesco Ferrara si porta da voi Sig.i D. Pasquale Arlanno D. Gaetano Laviano D. Ognazio Paschale
Alla vista della presenta mandereto la somma di Docati trecento dico tre Cento altrimente vi darò dispiacerò. Spedito uno fidato vostro coll’operaio
Io non scrive attendo alla dilicatezza e disbrigo subbito sùbito D. Francesco Tullio manderà Docati ottanta

Carmine Donatello
(Crocco)

Carissimo D. GaetanoEssendo giunto il tempo della nostra mala fortuna, di non farci fare la reazione io mi arbitrio di mandarti questo piccolo Carattere che mi mandate 2000,00 ducati per nostro mantenimento o 4 some di robba per mangiare, e mi mandate pure 10 rotole di polvere e 30 rotole di piombo, ossiano palle e due mantegne di vino e non altro

Il Generale
C. C. Donatello

Tutto questo porta una volta di più a sospettare la natura artefatta del primo manoscritto. Varie sono le ipotesi che si possono avanzare, ma quella che sembra a noi più probabile è che un testo autentico sia stato revisionato e in qualche maniera “tradotto in italiano” da un anonimo redattore. Chi fu a compiere questa operazione di editing? Non sappiamo. Potrebbe essere stato lo stesso Eugenio Massa, il quale però, come abbiamo visto, asserisce di avere pubblicato il manoscritto senza correzioni di sorta; il che ha portato recentemente un biografo di Crocco ad avanzare l’ipotesi che il capitano abbia ricevuto un manoscritto già corretto da un ignoto. Forse non lo sapremo mai.

Per completezza dobbiamo citare l’esistenza di un terzo manoscritto biografico di Carmine Crocco, purtroppo andato interamente perduto. Ne fa menzione il prof. Nicola Penta dell’Università di Napoli, altro studioso dedito ad approcciare il brigantaggio dal punto di vista socio-antropologico. La sua testimonianza si colloca a metà tra le ricerche del Massa e quello di Cascello, e portò nel 1901 a diverse parti dedicate a Crocco in un ampio volume sulle tendenze “primitive” dei delinquenti. Anche Penta poté conoscere personalmente Crocco carcerato, e ci informa:

Egli ha potuto così scrivermi tutta la storia della sua vita, prezioso documento, che poi ho smarrito per colpa non mia.

La storia, in questo caso, non ha dunque lasciato traccia non solo dello scartafaccio scritto di proprio pugno da Crocco, ma anche del suo contenuto.

Nel presente volume abbiamo pensato di riportare il manoscritto di Eugenio Massa nella forma più simile all’edizione originaria, corredato dalla prefazione e dalle note del suo curatore, a seguire il secondo manoscritto così come riportato da Francesco Cascella, e infine una sorta di “intervista” a Crocco estratta sempre da quest’ultimo volume e compiuta nell’ambito di una visita organizzata nel 1902 dal prof. Salvatore Ottolenghi dell’Università di Siena.

I lettori l’avranno capito, la storia delle testimonianze autografe di Carmine Crocco è abbastanza travagliata, e ciò che dispiace maggiormente è il fatto che siano andati perduti i fogli autografi. Bello sarebbe se da una ricerca d’archivio fossero rinvenuti i manoscritti originari, il primo per un confronto con la versione a noi arrivata, il secondo per avere nella sua interezza quello che è soltanto un estratto, il terzo del quale non leggiamo più nemmeno una parola. In assenza di questa documentazione, dobbiamo accontentarci di ciò che la storia ci ha tramandato, documenti in ogni caso di eccezionale importanza per la storia del Meridione d’Italia e di quel brigantaggio che ancora oggi affascina e incuriosisce i lettori.

Marcello Donativi