La terza moglie di Napoleone

Prefazione a
La battaglia di Waterloo – Gaspard Gourgaud

«Oggi non parlo di Alessandro, parlo di Napoleone. Napoleone a Waterloo, una pianura in Belgio, fece il suo capolavoro. Tutti lo davano per fatto, cotto, per la supremazia degli avversari. Aveva cinque grandissime nazioni contro. Però strategia, chiarezza delle idee, determinazione, forza: Napoleone fece il suo capolavoro a Waterloo. Allora, le facce scettiche non servono a un c… […] Piangersi addosso non serve assolutamente a niente. E, come nel momento duro, dagli spalti la gente ti dice ‘eh, la squadra non gira, non corrono…’, bene: correte di più, stringete i denti, prova di carattere. E allora dagli spalti vi applaudiranno. Perché voi andrete e segnerete. Come fece Napoleone a Waterloo.»

Così si esprimeva, nel 2008, un dirigente di una delle maggiori imprese del nostro paese, nel tentativo di motivare la platea di un evento aziendale. Il suo intervento è diventato uno dei primi video virali della storia nostrana di internet: la registrazione era condivisa e commentata da migliaia di utenti, per lo più allo scopo di dileggiare lo sventurato oratore. Per sua fortuna, la storia non ci ha consegnato il precedente intervento in cui pare avesse parlato di Alessandro Magno.

La vera constatazione, però, è un’altra. La gaffe non avrebbe avuto la stessa risonanza se, poniamo, il manager avesse commesso un errore a proposito della battaglia di Magenta o di Borodino. Si era invece esposto al pubblico ludibrio per avere citato uno di quegli eventi storici talmente celebri da essere noti, almeno a grandi linee, a chiunque, indipendentemente dalla specializzazione o dal livello di istruzione. Un evento capitale della storia, famoso al punto di diventare – al pari di pochi altri, per esempio Caporetto – un modo dire. Quasi tutti (tranne, abbiamo appreso, alcuni membri della classe dirigente) sanno che a Waterloo Napoleone fu sconfitto.

Gaspard Gourgaud, l’autore del libro che presentiamo, non correva il rischio di incappare in un simile lapsus, per il semplice fatto che a Waterloo lui c’era, ed era rimasto accanto a Napoleone per tutta la durata della battaglia.

Non che fosse abituato a perderlo di vista per troppo tempo. Per la maggior parte della sua vita adulta lo aveva accompagnato in ogni impresa, con una devozione e una fedeltà tanto estreme da risultare, a tratti, imbarazzanti. Disse di lui una volta Napoleone: «Mi amava come un innamorato la sua signora. Era insopportabile!»

Gourgaud era nato a Versailles nel 1783. Nel suo album di famiglia non troviamo molti militari ma, curiosamente, parecchi artisti. Il padre era violista presso la Cappella Reale, il nonno un attore. Suo zio, Jean-Henri Gourgaud, era un popolare attore di commedia noto con lo pseudonimo di Dugazon, il quale a sua volta aveva messo al mondo un’attrice e un compositore.

Tuttavia, Gaspard non scelse la carriera artistica, anche se questa dote ereditaria potrebbe essergli risultata utile negli anni a venire (ci torneremo). Troppo giovane per poter vivere da protagonista il periodo caldo della Rivoluzione Francese, troppo vecchio per poter ricordare se non vagamente l’ancien régime, si ritrovò a vivere la sua giovinezza in un periodo di continue guerre. La scelta era quasi obbligata.

Nel 1801, mentre la stella di Napoleone saliva sempre più, Gourgaud entrava nella Scuola di Artiglieria di Chalons, e non è forse un caso che scegliesse di specializzarsi nello stesso ramo del suo futuro imperatore. L’anno successivo entrava a pieno nei ranghi dell’Armée, scalando via via i gradi della carriera da ufficiale. Da lì in poi avrebbe partecipato a quasi tutte le principali battaglie delle guerre napoleoniche.

Gourgaud era a Ulm, ad Austelitz, a Jena e in molte altre occasioni in cui si distinse per il senso del dovere e il coraggio. A coronamento di ciò, nel 1811 ricevette l’incarico che doveva segnare la sua esistenza: essere nominato aiutante di campo di Napoleone. Ciò significava seguirlo praticamente come un’ombra.

Non passò molto che il nostro ebbe l’occasione di ricambiare l’onore: nel corso della spedizione di Russia, mentre l’Imperatore e il suo seguito alloggiavano al Cremlino, Gourgaud scoprì e disinnescò una mina che avrebbe fatto saltare in aria l’edificio. L’impresa gli valse il titolo di barone.

Dopo anni di vittorie, nel fatidico anno 1814, con il trattato di Fointainblue, Napoleone fu costretto ad abdicare e accettare la reggenza della piccola isola d’Elba. Fu solo allora che, dopo anni, Gourgaud dovette separarsi dal suo idolo e accettare, al pari di altri ufficiali, un incarico nel restaurato regime di Luigi XVIII.

Ma nell’intimo gli era impossibile recidere il legame con l’Imperatore. Conservava ancora un suo preziosissimo dono: la spada usata da Napoleone durante la Campagna d’Italia, avuta in regalo in segno di gratitudine per avergli salvato la vita, una seconda volta, nella battaglia di Dresda. Possiamo immaginare che la conservasse come la reliquia di un santo.

Così, quando nel marzo 1815 Napoleone fuggì dall’isola e fece un teatrale e inaspettato ritorno in Francia, Gourgaud fu tra i primi e i più entusiasti a mettersi a sua disposizione.

Nuovamente suo aiutante di campo, seguì l’uom fatale per tutta la durata della campagna del ’15 (argomento di questo libro), facendo in tempo, prima della catastrofe, a guadagnarsi il grado di generale. Fu lui a fare sparare gli ultimi colpi dell’artiglieria francese a Waterloo, allorché Napoleone, nella confusione della disfatta, aveva notato alcuni cannoni abbandonati e aveva urlato: «Gourgaud, fate fuoco!»

Nel disonore della sconfitta fu tra i pochi a restare sempre accanto a Napoleone. Era anzi da lui considerato tra i più fidi, al punto da vedersi assegnare la missione diplomatica che intendeva far ottenere all’ormai ex imperatore un onorevole esilio in Inghilterra. Come sappiamo, la decisione della potenza vittoriosa fu diversa e, nonostante le sue proteste, l’esilio ci fu, ma poco onorevole e soprattutto ben lontano dall’Europa: si salpava per Sant’Elena. Bene, Gourgaud seguì Napoleone persino nell’esilio in Africa, assieme a pochi altri privilegiati.

Sembrerebbe una storia, a suo modo a lieto fine, di fedeltà e amicizia. E invece a questo punto inizia tutto un altro capitolo, non privo di tinte di giallo.

Gourgaud a Sant’Elena si trovò molto male. Aveva da poco superato i trent’anni ed era il più giovane della comitiva francese. Altri – non l’ex imperatore ovviamente – avevano portato con sé moglie e figli; lui, al contrario, era celibe e senza prole. Ritrovatosi di colpo solo, in compagnia di gente con cui poco aveva in comune, lontano una distanza siderale dalla vita europea e dall’esistenza avventurosa avuta fino ad allora, divenne preda della malinconia. Soprattutto, la situazione fece emergere dei lati poco gradevoli del suo carattere, tra cui un certo complesso di inferiorità e un morboso attaccamento affettivo all’eroe della sua vita.

Presto iniziò ad avere degli attriti con gli altri compagni di esilio. Sembrava quasi che Gourgaud volesse Napoleone tutto per sé: mal sopportava che del tempo fosse dedicato anche agli altri, e spesso fraintendeva ogni minimo gesto come un segno di ostilità o un tentativo di emarginarlo. Non mancarono vere e proprie scenate di gelosia, quasi per contendersi l’esclusiva dell’amore dell’Imperatore. In particolare si deteriorarono i rapporti con il marchese di Montholon, che si ritrovò addirittura sfidato a duello. Ma non mancarono dei litigi con Napoleone stesso, accusato di ricambiare poco tutte le attenzioni che il suo protetto gli riservava.

Vista l’insostenibilità della situazione, nel 1818 Gourgaud chiese e ottenne da Hudson Lowe, il governatore inglese di Sant’Elena, il permesso di lasciare l’isola e fare ritorno in Europa.

Era la fine di una storia d’amore? Apparentemente sì. Gourgaud, cui era precluso il ritorno in Francia per via del suo tradimento a Luigi XVIII (era stato anche radiato dall’esercito), fu accolto in Inghilterra, dove a più riprese rinnegò il suo passato napoleonico, esattamente come un amante tradito. Come a volersi anche vendicare, iniziò anche a smentire che il clima di Sant’Elena fosse insalubre e il soggiorno dell’esiliato così terribile, cioè tutte le argomentazioni di chi reclamava un trattamento più umano di Bonaparte.

Eppure, di punto in bianco avvenne un episodio che fece sospettare che fosse tutta un’astuta, gigantesca messa in scena. Si venne a sapere che l’ex ufficiale francese aveva approfittato del ritorno in Europa per prendere alcuni contatti utili a perorare la causa della fine dell’esilio di Napoleone. Aveva infatti indirizzato due lettere, una allo zar Alessandro e un’altra a Maria Luisa d’Asburgo, la seconda moglie dell’ex imperatore. In particolare, quest’ultima lettera aveva lo scopo di sensibilizzare la sovrana sulle dure condizioni psicofisiche di Napoleone e convincerla a prodigarsi perché gli fosse data la possibilità di ritornare in Europa. Contrariamente a quanto andava affermando a voce, sulla carta Gourgaud dipingeva il soggiorno di Sant’Elena come una lenta, estenuante tortura davanti alla quale sarebbe stata preferibile una morte rapida.

Gli Inglesi maturarono il sospetto che Gourgaud non fosse fuggito dall’isola africana, ma fosse in realtà stato inviato come una sorta di agente in incognito di Bonaparte. L’ex attendente fu espulso dall’Inghilterra e costretto a riparare ad Amburgo.

Molti storici successivi hanno suggerito che i sospetti inglesi non fossero del tutto infondati. Che Gourgaud avesse fatto tesoro del talento di attore insito nella sua famiglia? Fingere di avere litigato con i compagni di esilio, in modo da giustificare il suo ritorno in Europa, e così segretamente tramare per ammorbidire la posizione delle potenze vincitrici di Waterloo. A questo proposito, molti anni dopo i fatti che raccontiamo, si citava una lettera – peraltro di dubbia autenticità – indirizzatagli proprio dal suo nemico Montholon, nella quale non soltanto trasparivano dei rapporti umani tutt’altro che compromessi, ma addirittura il marchese rimproverava l’ex compagno di esilio di esagerare nel recitare la parte dell’antinapoleonico.

In ogni caso ci pensò la sorte a risolvere il problema. Il 5 maggio 1821 Napoleone moriva in esilio a Sant’Elena. Ei fu. Gourgaud poté tornare in Francia e, dopo la Rivoluzione di Luglio del 1830, fu reintegrato nell’esercito. Nel 1840 ebbe l’onore di fare parte della spedizione destinata a riportare la salma dell’Imperatore a Parigi. Morì in patria nel luglio del 1852.

Nel frattempo, però, da militare si era fatto scrittore. L’argomento principale, manco a dirlo, erano le imprese del suo dio non più vivente. Nel 1823 pubblicò assieme a Montholon (proprio lui: un altro indizio?) otto volumi delle Memorie per la storia di Francia sotto Napoleone. Qualcuno ha parlato, per questa come altre opere contemporanee, del genere dei “vangeli di Napoleone”. Dopo l’opera di evangelizzazione, si dedicò alla repressione dell’eresia: del 1825 è Un esame critico dell’opera del conte di Ségur, con il quale si proponeva di confutare una storia della Grande Armée, del 1827 una Confutazione delle calunnie contenute nella Vita di Napoleone di Walter Scott. Ma l’opera per cui probabilmente è più ricordato non era destinata alla pubblicazione e il pubblico la poté leggere soltanto postuma: il Diario di Sant’Elena, uscito nel 1899, contenente non soltanto lunghe trascrizioni delle conversazioni con Napoleone, ma anche il racconto degli episodi meno gratificanti del soggiorno di Gourgaud sull’isola.

Prima di tutto questo, però, già nel 1818, lo stesso anno del suo ritorno in Europa, aveva dato alle stampe il libro che vi presentiamo: La campagna del 1815, ossia Relazione delle operazioni militari che hanno avuto luogo in Francia e in Belgio durante i Cento Giorni, scritta a Sant’Elena. Per il suo esordio letterario, insomma, sceglieva di battere il dente proprio dove più duole, ovvero la guerra che aveva sancito il definitivo tramonto della stella napoleonica.

Il presupposto erano le lunghe chiacchierate avute con Napoleone a Sant’Elena, durante le quali, tra le altre cose, avevano potuto scambiare dei pareri sulla battaglia di Waterloo e le ragioni della disfatta. Gourgaud aveva però integrato il tutto con informazioni prese da altre fonti, come i rapporti stilati dai vari protagonisti della guerra (riportati in Appendice). Sicché l’opera era diventata una minuziosa ricostruzione delle operazioni belliche, coronata da numerose tabelle con i numeri delle forze in campo e delle perdite subite.

Ma lo scopo principale, ovviamente, non era quello di fornire delle statistiche. L’autore intendeva salvare l’onore dell’Esercito Francese e del suo condottiero, dimostrando come la sconfitta fosse assolutamente evitabile, e dovuta non a mancanza di forze, né a errori strategici, né tantomeno a codardia, ma a un insieme di casualità o al limite errori attribuibili a singoli individui.

Nel leggere questa ricostruzione abbiamo avuto una specie di deja vu. La storia della letteratura pullula di memorie dei protagonisti dei vari eventi bellici. Tra queste, le più particolari sono a volte quelle scritte dagli sconfitti, anziché dai vincitori. Sono spesso accomunate da alcune caratteristiche: l’autore tende a cercare delle giustificazioni alla disfatta; talora individua alcuni – pochi – capri espiatori, magari anche per togliersi qualche sassolino dalla scarpa a livello personale; in generale, spesso ne scaturisce un racconto dal quale, alla fine, tutto è chiaro tranne perché abbiano perso.

Gourgaud non sfugge del tutto a questi cliché. Era troppo innamorato del suo Imperatore per ammettere che, nel momento cruciale, avesse commesso degli errori. Nel suo racconto, dunque, le forze militari francesi sono del tutto efficienti e bastevoli a vincere la guerra e Napoleone ha sempre preso le decisioni corrette. Semmai sono stati alcuni fedelissimi del generale a venire meno, su tutti Grouchy, con la sua incapacità di impedire il ricongiungimento degli eserciti inglese e prussiano, e Ney, con il suo sconsiderato utilizzo della cavalleria. C’erano forse in ballo anche delle gelosie personali? Non è da escludere, anche se tocca ammettere che i due personaggi su citati abbiano realmente inciso sul risultato finale. Non è, d’altra parte, un caso se Napoleone, nel pomeriggio di quella giornata, avesse già fatto diramare un dispaccio in cui annunciava la vittoria, salvo poi ritrovarsi, al tramonto, senza più un esercito per l’arrivo improvviso del generale Blucher. Addirittura, secondo l’autore la stessa sconfitta sul campo di Waterloo non era stata decisiva, perché la Francia avrebbe potuto riorganizzarsi e resistere al nemico, se solo l’Imperatore non fosse stato costretto ad abdicare da una congiura di palazzo, ordita da gente poco assennata e incapace di trovare il coraggio di salvare la patria. Come a dare ragione a quella battuta attribuita a lord Byron: «Tutta questa ammirazione per Wellington. È come ammirare un sasso perché un grand’uomo ci è inciampato».

Insomma: non andrà a finire che il manager citato all’inizio non avesse tutti i torti e forse realmente Napoleone a Waterloo aveva fatto il suo capolavoro? Non ci pronunciamo a riguardo, ma probabilmente, se per assurdo i due avessero potuto avere uno scambio d’idee in proposito, Gaspard Gourgaud si sarebbe detto d’accordo.

Marcello Donativi